Testi

A un primo fugace sguardo Dasein di Anna Maria Saviano (1982) appare come un “dipinto fotografico” che riecheggia i notissimi Fotobilder di Gerhard Richter. Di fatto la pittrice, sulle orme di Richter, ha usato come fonte iconografica del quadro una sua foto low-fidelity di un ordinario interno abitativo attraversato da un’anonima persona. I valori topologici, cromatici e luministici della fotografia vengono dileguati dall’olio su tela, rendendo l’immagine pittorica simile ad uno still da video di una sequenza in dissolvenza di blu. Il cinetismo di ascendenza futurista della figura spettrale che sta per varcare l’ingresso di un ignoto luogo; il miraggio delle due porte sul pavimento lucido; la sospensione temporale che pervade l’intero ambiente: generano, mediante un loop di flashback (analessi) e  flashforward (prolessi),  un rimando biunivoco e continuativo tra la fotografica originaria virtualmente presente sul dipinto e il medesimo nell’atto del suo stesso farsi. In tal modo Dasein ci narra autoreferenzialmente due mancati incontri con il reale: quello della rappresentazione fotografica e quello di se stesso in quanto rappresentazione pittorica  di una rappresentazione. Dasein è una “spettrografia” demistificatoria conscia del fatto che prima di ogni dipinto  non c’è nessuna presenza, nessun rappresentato, nessun passato; in quanto la pittura non è nient’altro che “pura ripetizione, ripetizione assoluta di sé, ma di sé già come rinvio e ripetizione, ripetizione del significante, ripetizione nulla e annullante (…)” [Jacques Derrida].
       
(Domenico Esposito per la mostra Oltre la paralisi, area di mobilitazione artistica Urto! Step 1. Pan, Palazzo delle Arti di Napoli)                                                                      
                       

 Ospite di Maria Giovanna Villari nello spazio “Le 4 Pareti” (Via Fiorelli, fino al 31 dicembre) la Saviano espone un nutrito corpus di opere riunite sotto il titolo “Luoghi del sole ed occasionalmente delle nebbie” con cui propone la sua riflessione artistica sulla fragilità della vita ancor più amplificata dalla precarietà di questa nostra epoca. A cura della stessa Villari, la mostra è un percorso tra immagini che, immerse nella nebbia, come nascoste dietro vetri opachi, o in dialogo tra loro- in un gioco di specchi si rincorrono tra apparizioni e sparizioni di oggetti, architetture, figure umane.

(Paola de Ciuceis, Un mondo di sogni dove il sole vince le nebbie, 'Il Mattino', pag. 52, 21-12-2011)


Una nuova luce ha conquistato la tavolozza di Anna Maria Saviano la cui pittura, sempre volta alle relazioni tra l’individuo ed il suo ambiente, spesso incorniciata entro architetture labirintiche, si svuota, si alleggerisce, sostituendo la consistenza dl colore a olio con la consistenza morbida e fluttuante del pastello e del carboncino, col quale cerca di trattenere nello spazio intimo  di un foglio bianco, quasi si trattasse di pagine di un diario, le memorie di una quotidianità, che tuttavia sembra sciogliersi rispetto al ritmo compulsivo dell’uomo moderno.

(Pasquale Ruocco, Dipingo ergo sum, per la mostra Nuove rotte della pittura: sette giovani artisti per gli arsenali di Amalfi,  Museo degli antichi arsenali della Repubblica di Amalfi)


Estremamente interessante il lavoro di Anna Maria Saviano, giovane artista campana selezionata per la Biennale di Venezia, fatto di figure ed architetture evanescenti come un respiro, giocate su una scala cromatica che va dal bianco al blu.

(Tiziana Tricarico, Sette artisti in cerca di una figura, 'Il Mattino', 05/06/2011)

 
LA FIGURA:PRESENZA E ASSENZA DELL’ESSERE

Anna Maria Saviano per interrogare la realtà che la circonda preferisce avvalersi del supporto di un terzo occhio, ossia la macchina fotografica. Come se necessitasse di un apparecchio che filtrasse le immagini, che le inquadrasse, che le riconsegnasse “realmente” visibili. Partendo quindi da una ricerca fotografica, dettata soprattutto dall’istintività e dalla fugacità del momento, ciccando blocca il tempo. Riportandolo poi in figure dipinte, rielaborando le sensazioni, così da eternare quella istantanea, riproduce figure opacizzate dal fluire del pensiero. Questa presenza di un terzo occhio è evidente nelle sue pitture come in Alice in the wAnderland, dove questo suo modo di guardare le cose ci rende partecipi dello spettacolo che mette in scena. Interpretando più ruoli siamo in primo luogo semplici spettatori che osservano l’opera dall’esterno. Poi l’azione ci trascina al suo interno e diventiamo improvvisamente noi stessi il terzo occhio, divoratori di figure, sospesi fra la tensione e l’appagamento. Infine catapultati nel pieno moto delle immagini, diventiamo protagonisti della scena, percorrendo ed esplorando con rapidità le limpide architetture della Saviano, che sembrano essere l’unico riferimento più certo. La magia che si crea è nel sentirci sempre seguiti, davanti a noi o dietro di noi c’è costantemente qualcuno o forse qualcosa che ci spinge a toccare quei luoghi.
Noi siamo, il nostro essere è lì e solo attraverso di esso l’altro assume un’identità.

(Marcella Ferro, dal catalogo di Echi Temporanei- Nuovissima generazione di artisti in Campania
2007, quaderni del Fondo Regionale d’Arte Contemporanea, diretti da Massimo Bignardi)

ZONE SCOPERTE I – STRUTTURE DELL’ANIMA

Percorriamo, allora, gli interni, corridoi e scale di Anna Maria Saviano, che ci conducono fuori e dentro di noi, giù fino alla regione del nostro inconscio più oscuro, oppure verso la luce abbagliante di una nuova coscienza. Quella di Anna Maria Saviano è una pittura che riguarda il nostro stato onirico, il sogno e le immagini verso cui ci conduce.

(Luca Pietro Vasta, dal catalogo Zone scoperte. Accademie di Belle Arti/Arte giovane contemporanea-con il patrocinio dell’Accademia di Belle Arti e della Provincia di Catanzaro.
A cura di Giancarlo Chielli. Ed. Rubbettino, 2008)

DEJA VU

Dejà vu, questa l’istintiva sensazione di fronte al dipinto di Anna Maria Saviano. Le rigide architetture, gli angoli luminosi, le ombre taglienti, il manierismo pittorico sono il lessico creato da quest’artista che mette al centro della propria indagine lo spazio, quest’ultimo inteso come luogo abitato, su cui si posa lo sguardo e da cui prende le energie lasciate come segno del passaggio umano. Incredibilmente il tempo bloccato in istantanee nette, a tratti fredde, dopo qualche attimo, rivive nel popolarsi di figure impalpabili lente e silenziose. Fra le locations più fotografate e poi rielaborate dalla Saviano vi sono corridoi, scale, pianerottoli, probabilmente perché questi rientrano nel suo immaginario come luoghi di mobilità, di fruizione rapida, d’incroci momentanei, quasi fulminei. Senza dubbio questa particolare peculiarità scaturisce da una profonda analisi della società contemporanea edificata su rapporti interpersonali ridotti al minimo, poche parole, pochi sguardi, poco coinvolgimento. Nello svuotare gli interni delle strutture, fa dell’architettura una metafora di un mondo che continua a creare contenitori senza mai potersi concedere il tempo di viverli concretamente.

(Marcella Ferro, per la mostra Magical Mystery Tour, Galleria Wunderkammern, Roma).

(…)Risaliti alla luce, un Deja Vu ci riporta indietro nel tempo e nello spazio. Anna Maria Saviano, ritrae con la sua peculiare precisione spaziale la porta d’ingresso della casa-galleria proprio vista dalla scala che ci ha riportato alla superficie. Il realismo silenzioso dell’immagine che accoglie colui che riemerge dal basso è assolutamente “wunder”.

(Stella Kasian, “Magical Mystery tour alla Wunderkammern di Roma”, 5/05/2009. Artekey Magazine)


(…)La sua è una chiave di lettura cinematografica, come del resto quella di Anna Maria Saviano, le cui opere abbiamo avuto modo di conoscere anche a Roma, la Wunderkammern (www.wunderkammern.net) l’ha ospitata per la Magical Mystery Tour, mostra che si è conclusa il 22 maggio del 2009. Le linee di questa giovane pittrice napoletana sono precise; i suoi lavori rappresentano delle immagini nascoste, mai rivelate del tutto. Il suo talento nel creare degli spazi vuoti e pieni la riporta a metà strada tra pittura e fotografia.  Di certo il suo background è cinematografico oltre che puramente artistico, Anna Maria dipinge da dieci anni ed ha studiato all’Accademia d Belle Arti. Le immagini che crea sembrano uscite fuori da un cartellone cinematografico. Delle locandine artistiche curate e sature di chiaroscuri.

(Rossana Calbi, “Il Martelive anche a Napoli e non solo…”, 15/06/2009, Eosarte).


PANTA REI

La pittura di Anna Maria Saviano si nutre della stessa meravigliosa illusione che da secoli alimenta il lavoro di tanti artisti: poter racchiudere in una immagine l’attimo perfetto, quello in cui la realtà, o meglio l’apparenza, trova la sua condizione ideale per poter comunicare un senso, un significato che vada al di là dell’inquietante scorrere di tutte le cose. “Tutto è verità e passaggio”- scrive Pessoa in una frase scelta dall’artista come epigrafe per uno dei suoi dipinti più significativi, Passer by, ed è da questa asserzione che possiamo partire per capire le motivazioni profonde di una pittura che, quadro dopo quadro, acquista maturità e padronanza dei propri mezzi, fiducia nella possibilità di trasmettere pensiero, meglio ancora di provocare in chi guarda una condizione di meditazione e di conoscenza.
In quasi tutti i dipinti si avverte la presenza di una invisibile soglia che divide l’osservatore da quel particolare teatro che è lo spazio pittorico. Luoghi e situazioni sono volutamente banali- un corridoio, il tapis-roulant di un aeroporto o di una metropolitana, stanze vuote con una finestra o uno specchio, una scala . Quasi sempre ad abitare questi spazi di passaggio c’è una sola persona, spesso ripresa di schiena, quasi a invitarci a ripercorrere con la memoria le infinite volte che ci siamo trovati a vivere situazioni simili e i nostri occhi non sono stati in grado di vedere e tantomeno di capire l’importanza di quel momento. L’essenza di quel vuoto che per un attimo si animava grazie alla nostra presenza, la meraviglia della luce che si rifletteva sugli scalini o la promessa di ciò che poteva esserci al di là del vetro o in fondo alle scale. A voler fare la storia di questa iconografia, così precisa e ben delineata fin dagli esordi, si può risalire al lucido romanticismo della Donna alla finestra di Friedrich o all’infinito leopardiano, ma molti artisti hanno arricchito quelle iniziali meditazioni sul mistero laico dell’esistenza di nuove sfaccettature e angoli visuali, ci sono state la Metafisica e il Realismo magico, c’è stata, soprattutto, la fotografia, che invece di facilitare le cose probabilmente le ha ulteriormente complicate. Tra i dipinti della Saviano ce ne sono alcuni che prendono spunto da quelle fotografie che più delle altre rivelano la natura inquietante e misteriosa di questo mezzo: le foto “mosse”, quelle in cui la sostanza certa e inequivocabile di una persona si trasforma in una sagoma evanescente, in un fantasma. Anche questa è una esperienza che abbiamo fatto tutti mille volte. Con la fotografia digitale basta un “clic” e la nostra foto “venuta male” va a finire dritta nel cestino, ma per un pittore non è così: la foto mossa è importantissima, nella sua casualità e imprevedibilità forse può rivelarci qualcosa di noi che non sapevamo, e allora vale la pena di prendere una bella tela grande, i colori e iniziare a dipingere, approfondire e arricchire questa esperienza nell’universo parallelo della pittura. Alcune delle più belle avventure pittoriche degli ultimi decenni-basti pensare ai capolavori di Gerhard Richter- hanno preso spunto da materiali simili, foto mosse o sfocate o ingrandite fino al punto di perdere la loro leggibilità, per ritrovarla magari quando il quadro viene a sua volta fotografato e riprodotto su un libro. Nei dipinti della Saviano gli effetti di sfocatura equivalgono ai corridoi o alle scale, sono emblemi di quella condizione di transitorietà che è il nucleo poetico da cui prende il via tutta la sua esperienza. Come per i suoi predecessori ( da Duchamp a Richter) l’immagine della figura che scende le scale è quasi un’icona di quell’Io frammentato e dissolto che solo nella piena coscienza della sua transitorietà ed evanescenza trova un punto di partenza e di forza. In alcune opere questa idea di partenza si arricchisce di ulteriori sviluppi, ricchi di implicazioni: mi riferisco a quei dipinti strutturati come dittico in cui una stessa condizione di luce viene mostrata con e senza la presenza umana, e anche ad alcuni dipinti che raffigurano ambienti architettonici del tutto vuoti. Sono soprattutto artisti americani, da Scheeler e Hopper fino a Dan Flavin, ad averci insegnato ad amarli e a comprenderne le valenze poetiche e metafisiche, ma non dobbiamo dimenticare il nostro Kounellis, con la sua serrata dialettica tra sensibilità e struttura (uno spazio vuoto e insignificante cambia molto se dentro ci sono quattordici cavalli vivi…). Credo che il lavoro della Saviano su questi soggetti si collochi in parte su questa linea di discendenza, più “umanistica” ed europea della glaciale ottica minimalista. Il gioco di presenza-assenza è rigoroso, così come è sempre morigerata e talvolta austera la scelta dei colori e il registro delle luci, ma rimane salda la coscienza degli spazi, verificati attraverso una lettura prospettica esatta. Si tratta di spazi che presuppongono comunque un osservatore, una presenza invisibile ma determinante, in grado di sostenere la vertigine di una scala curva o di leggere pazientemente il modificarsi delle luci negli angoli di una stanza. Al di qua dell’invisibile soglia che ci separa dall’universo delle cose viste, si avverte la presenza di un occhio “pittorico”, nel senso che già nell’atto stesso del vedere valuta le potenzialità implicite nel soggetto a raggiungere quell’equilibrio di pieni e vuoti, luci e ombre che può condurre la visione più ovvia ad un grado di autentica emozione visiva. In una dimensione espressiva raffinata e complessa come quella sperimentata dalla Saviano anche un minimo errore può pregiudicare l’effetto finale del quadro, e tuttavia credo che anche questo faccia parte del gioco, un po’ come camminare in equilibrio sul sottile crinale che separa la banalità e la poesia, o la saggezza del quadro “ben fatto” da quella follia necessaria a trasformarlo in una esperienza irripetibile. Su questa via la Saviano affronta via via sfide sempre più difficili sul piano della tecnica, e il rischio implicito, nonché necessario, è che alla fine la tecnica diventi una gabbia troppo stretta. Il grande iperrealista americano Richard Estes raccontava che per anni era stato ossessionato da un unico problema: il confine tra una superficie e quella adiacente, ad esempio l’angolo tra due pareti o tra il vetro e il telaio della finestra. La ricerca della perfezione passa talvolta attraverso particolari infinitesimali, sfumature di luce o consistenza di materia che è difficile definire o raccontare. In questo senso credo che alcune esperienze recenti nel campo del ritratto possano essere considerate come un antidoto, o meglio una sponda diversa dalla quale guardare con occhi nuovi un percorso che, nonostante la sua evidente ricchezza e maturità, è da considerarsi ancora aperto a ulteriori e imprevedibili sviluppi.

(Valerio Rivosecchi, Docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli)



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At first glance, Anna Maria Saviano’s Dasein might appear as a “photographic painting” echoing Gerhard Richter’s well-known Fotobilder. In fact, following in Richter’s footsteps, the painter used one of her lo-fi pictures as an iconographical source, portraying an ordinary house interior crossed by some anonymous person. Topological, chromatic and illumination values are dispersed by the oil on canvas, thus making the image similar to a fade-to-blue video still. The ghostly figure, reminiscent of the futurist depiction of movement, is about to cross the entrance of an unknown place; the mirage of the two doors on the lucid pavement; the time suspension which pervades the whole environment: they all generate, through a loop of flashback and flash-forward, a continuous and two-way reference between the original picture, virtually present in the painting, and the latter in the act of its coming into existence. This way, Dasein is a self-referential narration of two missing encounters with the real: that of the photographic representation and that of itself as a painted representation of a representation. Dasein is a mystifying “spectrography”, aware that before any painting there is no presence, no represented, no past; since painting is nothing else than “pure repetition, absolute repetition of itself, but already as reference and repetition, repetition of the signifier, null and nulling repetition (…)” [Jacques Derrida]

(Domenico Esposito, for the exhibition Oltre la paralisi, area di mobilitazione artistica Urto! Step 1. Pan, Palazzo delle Arti di Napoli)  

Anna Maria Saviano’s art feeds on the same marvelous illusion that has alimented many artists’ work for centuries: to be able to capture the perfect moment in an image, that moment in which reality, or rather appearance, finds its ideal condition to convey a meaning, a signified that goes beyond the disquieting flow of all things. “Everything is truth and passage”, Pessoa wrote in a sentence, the artist chose it as an epigraph for one of her most meaningful paintings, Passerby, and from this assertion we can begin to understand the profound reasons of an art that, painting after painting, acquires maturity and awareness, trust in the possibility to communicate thought, or even to cause meditation and knowledge to the beholder.

(Valerio Rivosecchi, Professor of Contemporary Art History, Naples Academy of Fine Arts)

A new light conquered the palette of Anna Maria Saviano, whose painting, always concerns relationships between the individual and his/her environment, and often enclosed in labyrinthine architectures, empties and lightens itself substituting the oil painting consistency with the softer and more fluctuant of pastels and charcoals. Through this she tries to contain in the intimate space of a blank sheet, almost as if it were a diary page, the memories of an everyday life, which still seems to melt against the compulsive pace of modernity.

(Pasquale Ruocco, Dipingo ergo sum, for the exhibition Nuove rotte della pittura: sette giovani artisti per gli arsenali di Amalfi,  Museo degli antichi arsenali della Repubblica di Amalfi)


Back to the light, a déjà vu brings us back in space and time again. Anna Maria Saviano portrays, with her peculiar spatial precision, the entrance to the house-gallery as seen from the staircase that brought us back to the surface. The silent realism of the image that welcomes who emerges from down under is absolutely a “Wunder”.

(Stella Kasian, “Magical Mystery tour alla Wunderkammern di Roma”, 5/05/2009. Artekey Magazine)


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Au premier fugitif regard Dasein de Anna Maria Saviano (1982) parait comme une “peinture photographique” qui évoque les bien connus Fotobilder de Gerhard Richter. De fait la peintre, sur les traces de Richter, a utilisé comme source iconographique du tableau une de ses photo low-fidelity représentant un intérieur d’habitation ordinaire traversé par une personne anonyme. Les valeurs topologiques, cromatiques et luministes de la photographie sont dissipées par l’huile sur toile, rendant l’image pictural semblable à un still en vidéo d’une séquence en fondu bleu. Le cinestisme d’ascendance futuriste de la silhouette spectrale qui est en train de passer l’entrée d’un lieu inconnu; le mirage des deux portes sur le sol luisant; la suspension temporelle qui envahit la pièce toute entière: suscitent, par un loop de flashback (analepse) et flashforward (prolepse), un renvoi biunivoque et continu entre la phographique originelle, virtuellement présente sur le tableau, et celui-ci dans le meme acte de produire soi-meme.
De cette façon Dasein nous raconte auto-référentiellement deux rencontres manquées avec le réel: celui de la représentation photographique et celui de soi-meme en tant que représentation picturale d’une représentation. Dasein est une “spectrographie” démystificateuse consciente du fait qu’avant chaque peinture il n’y a aucune présence, aucun représenté,. Aucun passé: du moment que la peinture n’est que “répétition pure, répétition absolue de soi, mais de soi dejà comme renvoi et répétition, répétition du signifiant, répétition nulle ou annulantrice (…)” [Jacques Derrida]

(Domenico Esposito, pour Oltre la paralisi, area di mobilitazione artistica Urto! Step 1. Pan, Palazzo delle Arti di Napoli)   


La peinture de Anna Maria Saviano se nourrit de la meme merveilleuse illusion qui alimente le travail de nombreux artistes il y a quelques siècles: pouvoir renfermer dans une image l’instant parfait, celui où la réalité, ou mieux l’apparence, trouve sa condition idéal afin de pouvoir communiquer un sens, une signification qui aille au delà de l’inquiétant s’écouler de toute chose. “Tout est vérité et passage”, Pessoa écrit dans une phrase qu’il choisit comme épigraphe pour une de ses peintures la plus significative, “Passer by”, et c’est de cette assertion qu’on peut partir pour bien comprendre les motivations profondes d’une peinture que, tableau après tableau, gagne en maturité et en maitrise de ses propres moyens, en confiance dans la possibilité de transmettre une pensée, mieux encore de provoquer dans le spectateur une condition de méditation et de connaissance.

(Valerio Rivosecchi, professeur d'histoire de l'art contemporain à l'Académie des Beaux-Arts de Naples)

Une lumière nouvelle a conquis la palette de Anna Maria Saviano, dont la peinture, toujours dirigée aux relations entre l’individu et son milieu, souvent encadrée dans des structures labyrinthiques, se vide, se délivre en remplaçant la consistance de la coleur à l’huile avec la consistance douce et flottante du pastel et du fusain, avec lequel elle cherche à retenir dans l’espace intime d’une feuille blanche, comme s’il s’agissait des pages d’un journal, les mémoires d’une quotidienneté, qui toutefois, parait se dissoudre par rapport au rythme compulsif de l’homme moderne.

(Pasquale Ruocco, Dipingo ergo sum, pour Nuove rotte della pittura: sette giovani artisti per gli arsenali di Amalfi,  Museo degli antichi arsenali della Repubblica di Amalfi)


 Remontés à la lumière, un Dejà Vu nous fait revenir en arrière dans le temps et l’espace. Anna Maria Saviano représente avec sa particulière précision spatiale la porte d’entrée de la maison-galerie vue de l’escalier qui nous a fait revenir à la surface. Le réalisme silencieux de l’image qui accueille celui qui remonte du fond est absoluement “wunder”.

(Stella Kasian, “Magical Mystery tour alla Wunderkammern di Roma”, 5/05/2009. Artekey Magazine)